Bilinguismo: la nostra esperienza
Mai avrei pensato, quando ci siamo trasferiti in California 6 anni fa, che qui avrei dato alla luce due meravigliosi esseri umani che avrebbero rivoluzionato la mia vita!
E di certo mai avrei pensato allora, che il bilinguismo sarebbe entrato nella nostra casa così...
"Due genitori italiani, bambini con doppia cittadinanza e doppia lingua", pensavo io, alquanto ingenuamente. Ma si sa, la vita sorprende sempre... e così questo espatrio ci ha regalato un bambino, Tegolina, che capisce l'italiano ma parla al 95% inglese americano.
Ha parlato molto tardi lui. Fino ai tre anni si faceva capire a gesti e a suoni. Del resto è sempre stato molto espressivo e anche molto creativo, tant'è che aveva inventato una lingua tutta sua in cui "koki" significava aereo, per esempio.
Scherzando dicevamo che probabilmente lui si rendeva già conto che a San Francisco le persone parlavano lingue diverse. A casa noi si parla italiano; al playground invece si parla americano; la babysitter messicana gli parlava in messicano; e l'amica turca della banca del tempo gli parlava in turco. Bel casino, eh? Eppure quanta ricchezza culturale e quante connessioni neuronali in più per lui (se volete saperne di più, guardatevi questo Ted video sul bilinguismo)!
Così dev'essersi probabilmente detto: "Senti ma se tutti parlano la lingua che vogliono perché io non posso inventarmi la mia?". E da lì è nato il koki. E ghi per ruspa. Mamy per bambino. Mae per gatto. Tu-tu per treno. Eee per rosso. Agn-agn-agn-agn per mangiare/fame...
Noi semplicemente lo capivamo: avevamo imparato il suo vocabolario e si andava bene così.
Poi, quando è stato il momento di inserirlo all'asilo qui a Los Angeles, la preoccupazione espressa dalla direttrice che temeva di non capirlo e di non poter rispondere per questo ai suoi bisogni, ci ha spinti a cercare per lui una speech therapist, una logopedista. Con grande fortuna ne abbiamo trovata una che parla sia italiano che inglese, una persona davvero deliziosa che in pochi mesi ha aiutato Tegolina, attraverso il gioco, a imparare a parlare inglese americano e ad usare anche alcune parole italiane. La logopedista e sicuramente l'asilo a tempo pieno, 5 giorni a settimana, in un ambiente americano super accogliente, hanno contribuito entrambi a supportarlo al meglio... E così, 6 mesi dopo, Tegolina è diventato ufficialmente un American speaker!
Questa esperienza ci ha insegnato molto su di noi e sul nostro bambino.
Di lui ho capito che è decisamente un perfezionista. Che fosse cauto lo sapevo... ma che fosse una persona che non si espone se non sente prima di dominare davvero ciò che sta esponendo, onestamente lo ignoravo. Me lo ha fatto notare la logopedista e allora l'ho visto chiaramente, e mi sono resa conto che è sempre stato parte del suo carattere. Ha saltato tardi per esempio rispetto ad altri bambini, ma quando lo ha fatto, lo ha fatto perfettamente, trovando in se stesso il coraggio e la sicurezza che gli hanno permesso di spingere anche oltre i suoi limiti.
Lo stesso è stato per la lingua... Adesso che sente di dominare l'inglese americano, sta arricchendo pian piano il suo vocabolario italiano pur con una pronuncia ancora tutta americana, che mi fa un po' sorridere.
Questa esperienza bilingue mi ha insegnato anche qualcosa su di me. All'inizio non è stato facile per me accettare che mio figlio non parlasse la mia lingua. Davo per scontato che crescendo in una famiglia italiana, avrebbe mangiato e parlato italiano! ;) E invece così non era... A lungo mi sono sentita delusa dalla sua scelta dell'americano come prima lingua e sono stata dispiaciuta e quasi arrabbiata con lui per questo.
Poi un giorno un amico americano mi ha detto una frase che mi ha spalancato il cuore: "Eh sì, ha proprio senso che parli americano: il suo mondo è americano... l'asilo, gli amici, il parco giochi sono americani..." Improvvisamente l'ho visto e l'ho capito e mi sono resa conto di quanto assurdo fosse che io pretendessi che lui scegliesse l'italiano in questo contesto!
Credo di averlo capito anche perché sono riuscita ad avvicinare la sua esperienza alla mia: papà barese ma io sono nata e cresciuta a Padova, quindi il mio mondo è sempre stato padovano e Bari per me è sempre stato il luogo delle vacanze del cuore; capisco il barese ma non lo parlo e se lo parlo faccio ridere, anche quando uso le parole giuste... esattamente come Teg che capisce l'italiano ma non lo parla.
Con lui io parlo sempre in italiano perché sono ancora determinata a trasmettergli la nostra lingua e la nostra cultura, e lui mi risponde sempre in inglese. Fa un po' ridere... fa strano anche... ma è così, e ormai non ci faccio quasi più caso.
Ora nelle frasi inglesi ha iniziato ad introdurre alcune parole italiane. Ed è strano che alcune parole per lui siano sempre state italiane dall'inizio. Parole tipo "lotta". Can we make lotta? dice. Mentre "Mom and Dad" sono sempre state americane. Solo a volte, sorridendo, mi guarda e mi dice "Mamma" e il mio cuore si scalda sempre un po' di più... Sua sorella invece, la piccola Lenticchia, la chiama "Baby" e ne parla con tutti come "my baby", tant'è che io pensavo non ricordasse o non sapesse il suo nome... invece lo sa benissimo e semplicemente vuole chiamarla così.
Quando poi partono i cartoni in italiano sull'ipad (perché la mamma ha pensato che a questo punto sarebbe stato utile avere alcuni cartoni in italiano :) lui si lamenta perché parlano Spanish! Pero' ieri li guardava e si allenava a ripetere "Pancia... gomiti... gambe". E io sorridevo nel sentirlo pronunciare quelle parole con l'accento americano.
A volte in casa nascono anche delle divertenti conversazioni sul bilinguismo e sulla diversa pronuncia di singole parole. Noi diciamo mango, per esempio. In americano si pronuncia "mengo". Così Teg ci chiede: "Mom, why do you say mango?" "Eh, perché in italiano si dice mango..." E ride. E ripete "mango-mengo" ad oltranza, giocando con i suoni.
Negli incontri virtuali coi nonni sui Skype noi ci facciamo un po' da traduttori perché Teg capisce tutto quello che dicono ma risponde in inglese e i nonni non capiscono. Mi dispiace un po' trovarmi a fare da mediatrice ma mi sembra di poter aiutare entrambe le parti, favorendo la crescita della loro relazione in qualche modo...
Spero che il suo italiano cresca sempre di più e che un giorno Teg non avrà più bisogno di me in questo. Lo spero perché sperare non costa niente :) E so anche che se questo non succederà, io gli vorrò bene lo stesso... perché lo accetto per quello che è e se la sua lingua è l'americano, a me va bene così.
Tanto lo so che una parte del suo cuore sarà per sempre italiana :)
Altri interessanti articoli sul bilinguismo:
The-sooner-you-expose-a-baby-to-a-second-language-the-smarter-theyll-be
The-benefits-of-bilingualism
E di certo mai avrei pensato allora, che il bilinguismo sarebbe entrato nella nostra casa così...
"Due genitori italiani, bambini con doppia cittadinanza e doppia lingua", pensavo io, alquanto ingenuamente. Ma si sa, la vita sorprende sempre... e così questo espatrio ci ha regalato un bambino, Tegolina, che capisce l'italiano ma parla al 95% inglese americano.
Ha parlato molto tardi lui. Fino ai tre anni si faceva capire a gesti e a suoni. Del resto è sempre stato molto espressivo e anche molto creativo, tant'è che aveva inventato una lingua tutta sua in cui "koki" significava aereo, per esempio.
Scherzando dicevamo che probabilmente lui si rendeva già conto che a San Francisco le persone parlavano lingue diverse. A casa noi si parla italiano; al playground invece si parla americano; la babysitter messicana gli parlava in messicano; e l'amica turca della banca del tempo gli parlava in turco. Bel casino, eh? Eppure quanta ricchezza culturale e quante connessioni neuronali in più per lui (se volete saperne di più, guardatevi questo Ted video sul bilinguismo)!
Così dev'essersi probabilmente detto: "Senti ma se tutti parlano la lingua che vogliono perché io non posso inventarmi la mia?". E da lì è nato il koki. E ghi per ruspa. Mamy per bambino. Mae per gatto. Tu-tu per treno. Eee per rosso. Agn-agn-agn-agn per mangiare/fame...
Noi semplicemente lo capivamo: avevamo imparato il suo vocabolario e si andava bene così.
Poi, quando è stato il momento di inserirlo all'asilo qui a Los Angeles, la preoccupazione espressa dalla direttrice che temeva di non capirlo e di non poter rispondere per questo ai suoi bisogni, ci ha spinti a cercare per lui una speech therapist, una logopedista. Con grande fortuna ne abbiamo trovata una che parla sia italiano che inglese, una persona davvero deliziosa che in pochi mesi ha aiutato Tegolina, attraverso il gioco, a imparare a parlare inglese americano e ad usare anche alcune parole italiane. La logopedista e sicuramente l'asilo a tempo pieno, 5 giorni a settimana, in un ambiente americano super accogliente, hanno contribuito entrambi a supportarlo al meglio... E così, 6 mesi dopo, Tegolina è diventato ufficialmente un American speaker!
Questa esperienza ci ha insegnato molto su di noi e sul nostro bambino.
Di lui ho capito che è decisamente un perfezionista. Che fosse cauto lo sapevo... ma che fosse una persona che non si espone se non sente prima di dominare davvero ciò che sta esponendo, onestamente lo ignoravo. Me lo ha fatto notare la logopedista e allora l'ho visto chiaramente, e mi sono resa conto che è sempre stato parte del suo carattere. Ha saltato tardi per esempio rispetto ad altri bambini, ma quando lo ha fatto, lo ha fatto perfettamente, trovando in se stesso il coraggio e la sicurezza che gli hanno permesso di spingere anche oltre i suoi limiti.
Lo stesso è stato per la lingua... Adesso che sente di dominare l'inglese americano, sta arricchendo pian piano il suo vocabolario italiano pur con una pronuncia ancora tutta americana, che mi fa un po' sorridere.
Questa esperienza bilingue mi ha insegnato anche qualcosa su di me. All'inizio non è stato facile per me accettare che mio figlio non parlasse la mia lingua. Davo per scontato che crescendo in una famiglia italiana, avrebbe mangiato e parlato italiano! ;) E invece così non era... A lungo mi sono sentita delusa dalla sua scelta dell'americano come prima lingua e sono stata dispiaciuta e quasi arrabbiata con lui per questo.
Poi un giorno un amico americano mi ha detto una frase che mi ha spalancato il cuore: "Eh sì, ha proprio senso che parli americano: il suo mondo è americano... l'asilo, gli amici, il parco giochi sono americani..." Improvvisamente l'ho visto e l'ho capito e mi sono resa conto di quanto assurdo fosse che io pretendessi che lui scegliesse l'italiano in questo contesto!
Credo di averlo capito anche perché sono riuscita ad avvicinare la sua esperienza alla mia: papà barese ma io sono nata e cresciuta a Padova, quindi il mio mondo è sempre stato padovano e Bari per me è sempre stato il luogo delle vacanze del cuore; capisco il barese ma non lo parlo e se lo parlo faccio ridere, anche quando uso le parole giuste... esattamente come Teg che capisce l'italiano ma non lo parla.
Con lui io parlo sempre in italiano perché sono ancora determinata a trasmettergli la nostra lingua e la nostra cultura, e lui mi risponde sempre in inglese. Fa un po' ridere... fa strano anche... ma è così, e ormai non ci faccio quasi più caso.
Ora nelle frasi inglesi ha iniziato ad introdurre alcune parole italiane. Ed è strano che alcune parole per lui siano sempre state italiane dall'inizio. Parole tipo "lotta". Can we make lotta? dice. Mentre "Mom and Dad" sono sempre state americane. Solo a volte, sorridendo, mi guarda e mi dice "Mamma" e il mio cuore si scalda sempre un po' di più... Sua sorella invece, la piccola Lenticchia, la chiama "Baby" e ne parla con tutti come "my baby", tant'è che io pensavo non ricordasse o non sapesse il suo nome... invece lo sa benissimo e semplicemente vuole chiamarla così.
Quando poi partono i cartoni in italiano sull'ipad (perché la mamma ha pensato che a questo punto sarebbe stato utile avere alcuni cartoni in italiano :) lui si lamenta perché parlano Spanish! Pero' ieri li guardava e si allenava a ripetere "Pancia... gomiti... gambe". E io sorridevo nel sentirlo pronunciare quelle parole con l'accento americano.
A volte in casa nascono anche delle divertenti conversazioni sul bilinguismo e sulla diversa pronuncia di singole parole. Noi diciamo mango, per esempio. In americano si pronuncia "mengo". Così Teg ci chiede: "Mom, why do you say mango?" "Eh, perché in italiano si dice mango..." E ride. E ripete "mango-mengo" ad oltranza, giocando con i suoni.
Negli incontri virtuali coi nonni sui Skype noi ci facciamo un po' da traduttori perché Teg capisce tutto quello che dicono ma risponde in inglese e i nonni non capiscono. Mi dispiace un po' trovarmi a fare da mediatrice ma mi sembra di poter aiutare entrambe le parti, favorendo la crescita della loro relazione in qualche modo...
Spero che il suo italiano cresca sempre di più e che un giorno Teg non avrà più bisogno di me in questo. Lo spero perché sperare non costa niente :) E so anche che se questo non succederà, io gli vorrò bene lo stesso... perché lo accetto per quello che è e se la sua lingua è l'americano, a me va bene così.
Tanto lo so che una parte del suo cuore sarà per sempre italiana :)
Altri interessanti articoli sul bilinguismo:
The-sooner-you-expose-a-baby-to-a-second-language-the-smarter-theyll-be
The-benefits-of-bilingualism
Commenti
Spesso gli chiedo di ripetere in Italiano,a volte lo fa, altre volte dice "ma perche'? io sono americano!!", allora gli ricordo che e' una ricchezza, e che se si dimentica l'italiano poi non puo' piu' parlare con nonni, zii e cugini :-)
Mi fa tanto sorridere che pronuncia il suo nome, ma anche il mio nome, in modo diverso in base alla lingua dell'interlocutore :-D
E lui mi prende sempre in giro per la mia pronuncia :-P
Non me ne faccio un cruccio, tanto più che, oltre a vivere nel Sol Levante, per cui come tu dici e circondato da questa cultura, mio marito è giapponese. Semplicemente, come te, continuo a parlargli italiano, anche quando lui risponde nell'altra lingua e a volte gli dico ch'è fortunato, perché come ha detto Marica, il dono del bilinguismo è una ricchezza. Ciò che voglio è che le impari entrambe, poi è giusto che scelga quella che lui sente di più.
Due cose che dici mi colpiscono: la prima è che anche il momento in cui il trasferimento all'estero avviene può essere significativo in relazione al bilinguismo; la seconda è che nelle famiglie miste, l'esperienza è ancora diversa... ma con tuo marito parli giapponese o italiano o inglese? Curiosa me!!
da http://slicing-potatoes.blogspot.it/ si è svolta una discussione sull'italianità , senso di appartenenza nazionale e integrazione per i bambini nati o cresciuti all'estero, magari vi interessa
Ciao
Betty