Voci nella Bart

Solitamente quando viaggio nella metro, che qui a San Francisco è denominata BART, il silenzio regna sovrano. In genere le persone leggono, ascoltano musica, utilizzano i loro telefoni per isolarsi e impiegare come meglio credono il tempo che devono trascorrere su questo mezzo.
Oggi, forse per la prima volta da quando sono qui, ho sentito invece delle voci, tante voci. Un chiacchiericcio continuo che ha accompagnato tutto il viaggio. Risate. Parole. Fiumi di parole. 
Erano gli studenti della University of California, Berkeley o, come la chiamano qui, Cal
University of California, Berkeley
Stavano andando da Berkeley a San Francisco, con la BART appunto. Erano una decina e portavano con loro una bottiglia di vino rosso e forse una torta dentro ad un sacchetto di plastica.  Tempo di festeggiamentfuori sede.
Nella metro discutevano appassionati questioni relative al loro indirizzo di studi ma non solo: parlavano delle scelte di Obama, delle leggi federali, di nuovi modi di intendere la politica.
Li ho osservati in silenzio, pensando a quello che mi piace di loro, degli studenti universitari americani in genere:
sono curiosi e non si tirano mai indietro dal fare una domanda;
sembrano così determinati;
sembrano estremamente appassionati ed entusiasti, amano ciò che fanno e lo fanno vedere;
sono orgogliosi della loro appartenenza alla loro università e lo mostrano con fierezza, soprattutto nel campus, indossando magliette, pantaloni, zaini, calzini e fascette... Cal (e che ve lo dico a fare che qui i gadget si sprecano?!);
e infine, portano negli occhi i loro sogni. 
Generalizzo, eh, ma nella mia esperienza raramente mi è capitato di trovare tutto questo negli studenti universitari italiani, che a volte mi sono sembrati quasi annoiati e pigri nei loro studi. A volte chiedo loro perché hanno scelto un determinato percorso e mi sento dire che non lo sanno. Mi rammarico per questo atteggiamento che mi sembra passivo, apatico e per questa indifferenza nei confronti di scelte che ai miei occhi rappresentano il loro futuro. E vorrei che vedessero che c'è un altro modo per affrontare il loro stesso percorso, che ci sono atteggiamenti alternativi e che uno spirito positivo può cambiare molte cose. Vorrei per questo che girassero il mondo e vedessero con i loro occhi come si fa ad avere i propri sogni nello sguardo... 
Alla prossima

Commenti

Anonimo ha detto…
che bello questo post...come avrei voluto essere uno di quei studenti ....al tempo del mio periodo universitario...è proprio vero che qui in Italia sembriamo zombi universitari....si va avanti solo per il principio di inerzia, oscurandoci le mille possibilità che ci offre la vita. ora io ho 40 anni e ringrazio dio che tutt'oggi ho ancora voglia di imparare e sognare....insegnerò a mio figlio il gusto il piacere del vedere tutto ciò che è deverso da noi....sperando che almeno lui un giorno sia come quei ragazzi che tu hai raccontato.....questo è il mio impegno per mio figlio....Buona giornta Ely
Anonimo ha detto…
nel 2006 sono stata a Berkeley....eccezionale!!!!!!fortnata a vivere lassù....io vvo in salento....per ora...ciaoooo ely
Anonimo ha detto…
Forse la differenza la fanno alcune cose:
-in USA spesso gli studenti non sono mantenuti o non sono totalmente mantenuti dai genitori, perciò stanno all'università con una motivazione più forte, perché, poco o molto, se la guadagnano con il loro lavoro;
-in Usa ci sono più prospettive per il futuro o, per lo meno, non c'è quella sfiducia nel futuro che sta rinsecchendo l'Italia;
-in Usa gli studenti sono più valorizzati dai docenti e più stimolati a collaborare costruttivamente con i docenti stessi e non solo a recepire passivamente come quasi ovunque in Italia.
Sbaglio?
Mila
Giupy ha detto…
Sono molto d'accordo con quello che dici! Anche io sono rimasta colpita da quanta determinazione ed entusiasmo hanno gli studenti qui. pero' in effetti c'e' molta meno crisi in Italia e spesso qui in America uno studente troverá effettivamente un lavoro per il quale ha studiato. E poi qui gli studenti pagano pure cifre iperboliche per l'universitá: se non fossero entusiasti, di sicuro non starebbero a spendere 30 o 40 mila dollari all'anno!!
Anonimo ha detto…
E' bello il modo in cui l'hai descritto, ma non lo so...io non riesco ad avere una visione così romantica, non penso che siano animati da amore per lo studio e per il sapere, o insomma non tutti. Semplicemente l'università rappresenta un'altra cosa, rappresenta una fase della vita, il distacco dai genitori e l'inizio di moltissime attività che noi all'università italiana ci sogniamo (vedi ad esempio l'importanza dello sport). E sicuramente gli stimoli che ricevono sono molti molti di più, ma perché l'università è più una "corporation", una società (vedi gadget etc e lo stesso sistema a pagamento) che un sistema educativo. Insomma li vedo come dei clienti più che come degli studenti soddisfatti. Ma questa è solo la mia piccola opinione, e spero di aver modo di capire che mi sbaglio.
dario celli ha detto…
"Quante volte ci hanno detto,
sorridendo tristemente,
'Le speranze dei ragazzi sono fumo...
Sono stanchi di lottare,
e non credono più a niente,
proprio adesso che la mèta è qui vicino...'
Il mondo ormai sta cambiando,
e cambierà di più...
Ma non vedete che il cielo ogni giorno è sempre più blu?
E la pioggia che va,
e ritorna il sereno..."

Non so perché, ma quando ho letto queste tue righe mi è venuta in mente questa canzone di quando avevo 10,11 anni...

Poi me n'è venuta in mente un'altra, una canzone che cantavano i partigiani in Valsesia: ragazzi di 16, 20 anni:
"Abbiam la giovinezza in cuor,
simbolo di vittoria...".

Mi sa che tocca a loro, ora, cambiare il mondo.
Noi abbiamo fatto quel che potevamo.
Troppo poco, evidentemente...


d.
Anonimo ha detto…
Quando ci sono passato io da quelle parti ho comprato un paio di felpe della Cal che ancora oggi (dopo oltre venti anni) indosso in casa con un pizzico di orgoglio.

La Bart da Berkeley a San Franc era il tratto subacqueo più lungo all'epoca in ci andavo io. Poi hanno fatto il tunnel sotto la Manica.

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